S.Antonio da Lisbona ma a Padova è patrono, dal naufragio a S.Francesco. A leggere le cronache politiche di questi giorni viene da esclamare “Troppa grazia, Sant’Antonio!”. Da Padova, naturalmente.
Da Padova? Come sarebbe a dire “da Padova”? E come sarebbe a dire “Antonio” se in realtà era stato battezzato come Fernando Martins? [App di Blitzquotidiano, gratis, clicca qui,- Ladyblitz clicca qui –Cronaca Oggi, App on Google Play] Il cognome di padovano non aveva proprio nulla, infatti era “de Bulhões y Taveira de Azevedo”: stesso cognome e stessa famiglia del famoso Goffredo di Buglione, condottiero della prima crociata, e antenato di Martinho Afonso de Bulhões, cavaliere del re e padre del futuro S. Antonio. Santo che in realtà è nato a Lisbona e che a Padova c’è stato solo l’ultimo dei 36 anni della sua breve vita!
Non ci credete? Venite a vedere come tutta Lisbona lo festeggia alla grande, con una baraonda oceanica, nella notte tra il 12 e il 13 giugno: una processione religiosa gremita all’inverosimile, allegre sfilate in costume, dette marchas populares (marce popolari), dei vari quartieri della città lungo l’arteria principale Avenida da Libertade e ovunque feste, balli, tavoli per mangiare e bere e braci per arrostire soprattutto le immancabili sardinhas.
Mentre a Padova il 13 c’è solo una mesta processione, eccovi qualche video di questa lunga notte incredibile di Lisbona, per non parlare delle mostre, concerti, iniziative varie e altre feste che occupano praticamente l’intero mese di giugno:
SI FESTEGGIA NEL GIORNO DELLA SUA “NASCITA IN CIELO”
Cosa strana, lo si festeggia l’intero mese di giugno con apice nella notte tra il 12 e il 13, ma Antonio – cioè Fernando Martins, primogenito della agiata e aristocratica famiglia de Bulhões – non solo non è nato a giugno, ma il 13 di tale mese, del 1231, è morto! La Chiesa ha aggirato l’ostacolo facendo del 13 giugno la “data di nascita in cielo” del Fernando Martins diventato S. Antonio. La sua nascita sul pianeta Terra, a Lisbona, è avvenuta invece il 15 agosto, pare del 1195, anno che viene individuato sottraendo dalla data della morte – 13 giugno 1231 – gli anni ricchi di opere citati nel Liber miraculorum, scritto quasi a metà del XIV secolo. Vita breve, 36 anni, ma talmente densa anche di miracoli da farlo elevare da Papa Gregorio IX alla gloria degli altari dopo soli 352 giorni dalla morte. Antonio ha così anche il record di processo di canonizzazione più veloce della storia della Chiesa cattolica, battendo sia pure per soli due giorni perfino quello di Pietro da Verona.
Ma perché il suo nome è diventato Antonio? Calma, lo vedremo tra poco. Per ora osserviamo che le stranezze aumentano perché anche se viene considerato il santo patrono di Lisbona in realtà non lo è: il santo patrono ufficiale di tale città è infatti S. Vincenzo.
Però nel 1934 S. Antonio fu proclamato da Papa Pio XI patrono dell’intero Portogallo, perciò in definitiva ci rientra anche Lisbona. Antonio poi oltre a essere il santo patrono di Padova lo è di una infinità di città di numerosi Paesi, oltre che dell’intero Brasile e della Custodia di Terra Santa, una provincia dell’ordine dei Frati Minori che comprende, con scarsa modestia, Israele, Palestina, Siria, Giordania, Libano, Cipro, Rodi e una serie di conventi in Egitto, Italia, USA, e Argentina.
Come se non bastasse, nel 1982 durante la sua visita a Lisbona Papa Giovanni Paolo II, al secolo Karol Wojtyla, facendo proprie le parole di Papa Leone XIII, dichiarò che “Sant’Antonio è il Santo di tutto il mondo”, facendo così superare al discepolo Fernando Martins il suo grande maestro S. Francesco, che è rimasto patrono della sola Italia.
Ma andiamo per ordine.
A 15 anni Fernando Martins entra nei canonici regolari agostiniani della Santa Croce dell’abbazia di S. Vincenzo di Lisbona, il vero patrono della città, ma due anni dopo, per evitare le frequenti visite di parenti e amici che lo distraevano dagli studi e dalle preghiere si trasferì a Coimbra, 230 chilometri da Lisbona e all’epoca capitale del Portogallo, come canonico regolare nel locale monastero della Santa Croce, i cui circa 70 membri erano detti Fratelli della Croce e seguivano la regola di S. Agostino.
Fernando Martins rimase nel convento per quasi otto anni, passati in gran parte a studiare i moltissimi libri della biblioteca del monastero, con netta predilezione per quelli di argomento teologico. Nascono così le basi della vasta cultura per la quale divenne noto e che gli frutterà post mortem il titolo di Dottore della Chiesa, conferitogli nel 1946 da Papa Pio XII insieme col titolo di Doctor Evangelicus (Dottore Evangelico) per le sue abbondanti e precise citazioni del Vangelo nelle prediche e negli scritti.
IL CAMBIO DEL NOME DA FERNANDO AD ANTONIO, QUELLO DEL FUOCO DI SANT’ANTONIO
Nel 1219 Francesco d’Assisi, il futuro santo patrono dell’Italia intera e il cui nome è stato preso dall’attuale Papa, per iniziare a convertire al cristianesimo gli islamici dell’Africa inviò in Marocco tre sacerdoti e due laici suoi seguaci. Ma poco dopo il loro arrivo i cinque furono decapitati e i loro corpi portati a Coimbra. La loro storia impressionò talmente Fernando Martins da spingerlo, nel settembre 1220, a diventare francescano, accolto da Giovanni Parenti, Provinciale dei francescani per la Spagna. Per sottolineare il cambio di vita decise anche di mutare il proprio nome in Antonio.
Perché in Antonio e non in un altro nome? Perché il romitorio di Olivais di Coimbra, dove vivevano i primi francescani portoghesi e che Fernando Martins aveva da poco conosciuto, era dedicato al monaco orientale Antonio. Si tratta, per l’esattezza, del monaco egiziano nato nel deserto della Tebaide attorno al 251 e morto nel 356, alla bella età di quasi 104 anni, diventato santo anche lui e noto come sant’Antonio il Grande, sant’Antonio d’Egitto, sant’Antonio del Deserto, sant’Antonio l’Anacoreta.
Da notare che questo sant’Antonio egiziano è il fondatore del monachesimo cristiano poi sbarcato anche in Europa, essendo stato il primo abate, titolo che spetta alla guida spirituale – detta anche “il superiore” di una comunità monastica di 12 o più membri. Abbà in egiziano significa padre, motivo per cui l’abate è il padre spirituale della propria comunità monastica. Non molto tempo dopo la sua morte, venne invocato in Europa come patrono dei contadini e degli allevatori, dei macellai e salumai, come protettore degli animali domestici. Godeva fama di grande taumaturgo, capace di guarire malattie terribili. Compresa la malattia che porta il suo nome, il fuoco di S. Antonio, fastidiosa e spesso dolorosa, che prende il nome dal fatto che arrossa la pelle di vaste zone del corpo, e che è valsa all’abate egiziano anche il titolo di sant’Antonio del Fuoco. Il lungo elenco di miracoli di S. Antonio Abate lo si può leggere qui .
UN NAUFRAGIO PROVVIDENZIALE E L’INCONTRO CON S. FRANCESCO
Diventato membro del romitorio dei francescani di Olivais, il nuovo Antonio ebbe il permesso di imbarcarsi anche lui per il Marocco e nell’autunno del 1220 partì con il confratello francescano Filippino di Castiglia. Colpito da un’ignota malattia tropicale, dalla quale non riusciva a guarire, dopo qualche mese venne convinto dal confratello a tornare a Coimbra. La nave però naufragò vicino Capo Milazzo, dove l’episodio è ricordato da un santuario di S. Antonio da Padova. Soccorsi e portati nel convento dei francescani di Milazzo, i due frati seppero che Francesco d’Assisi aveva convocato per il maggio successivo il Capitolo Generale, cioè l’assemblea periodica, dei francescani, e che tutti i frati erano invitati a prendervi parte.
Fu così che nella primavera del 1221 Antonio e un gruppo di frati di Messina cominciarono a risalire l’Italia a piedi e parteciparono con oltre 3.000 frati all’assemblea che si tenne alla Porziuncola, nome dato alla terza chiesa riparata da S. Francesco su ispirazione divina e diventata la sua preferita. Antonio conobbe così Francesco, che in seguito lo inviò nel paesino di Montepaolo di Dovadola, vicino Forlì, in un convento di soli sei frati. Erano tempi in cui fiorivano i movimenti eretici dei catari, cioè dei puri, abbondanti anche in Emilia, che predicavano l’imitazione radicale del Vangelo e della povertà vissuta da Cristo.
E’ a Forlì che Antonio si rivela un grande predicatore, diventando noto come Antonio da Forlì. Abile nel contrastare gli eretici parlando di teologia, in una Romagna lacerata da lotte di vario tipo e dalla crescita anche locale del movimento eretico dei catari. Poiché era dotato di cultura e sapienza, Francesco approvò la sua richiesta di fondare a Bologna, già prestigiosa sede universitaria seconda solo a Parigi, il primo studentato teologico francescano, ma con una raccomandazione:
“A frate Antonio, mio vescovo, frate Francesco augura salute. Mi piace che tu insegni teologia ai nostri fratelli, a condizione però che, a causa di tale studio, non si spenga in esso lo spirito di santa orazione e devozione, com’è prescritto nella regola”.
MARTELLO DEGLI ERETICI
Verso la fine del 1224 Francesco spedisce Antonio in Francia per contrastare il dilagante movimento dei catari, ritenuto eretico e condannato dalla Chiesa oltre che combattuto ferocemente anche con le armi. Antonio con la sua predicazione a base soprattutto di teologia si guadagnò il soprannome di “martello degli eretici”. I baroni della Francia del nord trasformarono invece la lotta agli eretici in una lunga guerra di conquista ai danni delle contee provenzali, dando vita a quella che viene chiamata crociata degli albigesi e che diventò ben presto un vero e proprio genocidio concluso nel 1229, ma con strascichi sanguinosi fino al 1244 con la caduta della roccaforte catara di Montségur.
L’esperienza francese durò un paio d’anni, nel corso dei quali Antonio divenne il superiore dei conventi francescani di Limoges, poi alla morte di Francesco, avvenuta il 3 ottobre 1226, venne chiamato ad Assisi per partecipare al Capitolo convocato a partire dal 30 maggio 1227 per eleggere il successore alla guida dell’ordine dei francescani. Venne eletto Giovanni Parenti, colui che aveva accolto Antonio tra i francescani a Olivais e che lo nominò ministro provinciale per l’Italia settentrionale, di fatto la seconda carica per importanza dopo quella di Parenti, benché Antonio avesse solo 32 anni.
Il territorio assegnato ad Antonio comprendeva Romagna, Emilia, Lombardia, Liguria e Veneto. E il nuovo compito comportava viaggi per le visite agli ormai numerosi monasteri francescani di Milano, città dove era nato il movimento eretico dei patarini, Cremona, Varese, Brescia, Ferrara, Verona, Vicenza, Venezia e Trento, oltre ai conventi della Liguria e dell’Emilia.
Come residenza fissa quando non era in viaggio Antonio scelse il convento francescano Santa Maria Mater Domini di Padova, dove si fermò quando nel 1230 cessò il suo incarico di ministro dell’Italia Settentrionale. A Padova cercò di portare a termine la scrittura de I Sermoni, opera dottrinaria di teologia che gli varrà il titolo di Dottore della Chiesa.
(SEGUE: storia e feste…)